“Sono uno scansafatiche cronico”: non c’è male come presentazione per George, il giovane protagonista del film L’arte di cavarsela, lungometraggio d’esordio del regista Gavin Wiesen, romanzo di formazione piuttosto classico nei suoi schemi: giovani adolescenti alle prese con le proprie crisi di identità e di crescita, tra talento e creatività, tra ideali e innamoramenti, tra rifiuto di regole e conformismo, tra autonomia e integrazione.
Scegliamo dunque questo gradevole film, per riprenderci dal nostro interiore ‘scansafatiche’ estivo e anche – e magari di più – per quel senso di ottimismo pragmatico connesso e comune a tanto cinema statunitense. E’ un’opera abbastanza tradizionale nella sua evoluzione, con una narrazione aperta nella prima fase, dove lo status quo è più incerto e mutevole, in qualche modo problematico, per poi avviarsi verso una soluzione più prevedibile e meno originale. La trama infatti narra le vicende di George Zinavoy, un adolescente un po’ misantropo, per carattere e per filosofia di vita, dotato però di estri e talenti personali: creatività artistica, intelligenza, sensibilità. Svogliato, volutamente indifferente alle lezioni, solitario, passa il tempo tra schizzi, musica, sigarette e fantasie ribelli, senza particolari impegni di tipo affettivo o valoriali, rifiutando anche le figure adulte circostanti, peraltro presenti come sbiadite, perdenti o semplicemente distanti, o gli stessi coetanei.
Qualcosa ovviamente interviene a interrompere quest’oasi di inebriante solitudine, nutrita anche di echi letterari (lo scrittore esistenzialista Albert Camus oppure la popolare e pestifera Zazie nel metro, eroina trasgressiva di omonimo romanzo e film, o l’archetipo immancabile, seppur non esplicitato, di tanta letteratura statunitense che è il Giovane Holden) e simboleggiata nel detto: “Viviamo da soli, muoriamo da soli…tutto il resto è soltanto immaginazione!” L’incontro con Sally, principalmente: un volto, un corpo, una voce, che via via non può che determinare lo sconvolgimento tipico e interiore di un incontro ‘vero’, dove l’alterità è sia ferita irriducibile che esplosione di forza e conoscenza. Ma intorno alla scoperta dell’innamoramento gira e ruota anche la scoperta di un mondo altro, più vivo, più sfaccettato più umano, fatto di sentimenti, fatiche, tradimenti, imperfezioni, creatività; la scuola, la famiglia, gli amici, gli artisti, il sound e il background newyorkese, parte dominante del film, tutto si rimescola, trasfigura e acquista uno slancio e un orizzonte nuovi.
Se la trama assume i connotati canonici del genere (il cosiddetto teen movie) nella sua versione indie, più divergenti, intriganti e differenziati appaiono l’ambientazione, i suoi personaggi e la stessa recitazione, soprattutto nei due protagonisti principali, interpretati da Freddie Highmore ed Emma Roberts (poco più che ventenni, figli d’arte e già con un bel curriculum alle spalle).
Cambiamento, spaesamento, rischio, energia, rinascita, orizzonte: l’augurio in fondo, per noi tutti, è che in questa fase di ripresa – e si spera non solo di tipo stagionale – le parole chiavi di un’opera/romanzo di formazione, come questo film di Wiesen, possano divenire guida orientativa e davvero ‘un’arte del cavarsela’. Del resto non tutto è solo immaginazione!
(questo articolo è stato scritto da Mario Toppi)
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